Teatro
Vuoti di memoria, per non dimenticare gli orrori che ritornano
RENDE (Cs) – Vuoti di memoria al Dam. In alcuni momenti dici basta, vorresti fermarle, non riesci a guardare e sentire oltre. Se l’obiettivo di “Vuoti di memoria” di Libero Teatro è di rendere lo spettatore talmente partecipe da non permettergli di seguire la scena senza intervenire, è stato pienamente centrato.
L’opera teatrale scritta e diretta da Max Mazzotta – su testi di autori vari, da Levi a Mussolini e Hitler, passando per Nietzsche e Hesse – andata in scena nei giorni scorsi al DAM Entropia dell’Unical, ha almeno una dozzina di anni, ma è attualissimo e lo sarà sempre, prima di tutto per il tema trattato. Non lo si cita mai, ma è l’Olocausto: un abominio che releghiamo ai libri di storia e a commemorazioni più o meno sentite a cadenza annuale, e che invece ritorna prepotentemente e paradossalmente oggi.
Semplicemente perché non ha una collocazione precisa, non è un qualcosa di unico, accaduto una sola volta, ma ritorna come un mantra, sempre. È per questo che esistono lavori come “Vuoti di memoria”: per colmare proprio quelle dimenticanze che fanno sì che la storia si ripeta, perché altroché se si ripete. E fanno capire, ogni volta, puntualmente, come il confine tra vittima e carnefice nonostante all’apparenza sia netto, sia in realtà così sottile, da essere indicato da un camice o un cappello, che fanno la differenza. Un nulla, praticamente. Come l’essere nati da una parte piuttosto che dall’altra.
Lo spettacolo è infatti tutto giocato sull’alternanza dei ruoli: le cinque attrici – Francesca Gariano, Graziella Spadafora, Camilla Sorrentino, Noemi Guido e Claudia Rizzuti – si alternano di continuo nei panni ora dei carcerieri, ora in quelli degli imprigionati, sostenendo ritmi pazzeschi, non perdendo mai il filo. Tutte molto brave. E riescono a tirare fuori anche la bestialità tutta umana che, nella difficoltà, da un lato rende più ferini, dall’altro porta a una solidarietà impossibile in altre situazioni.
Il dualismo cattivo/buono – ci si perdoni l’azzardo, troppo netto ed eccessivo -, e la labilità dei sui confini, Mazzotta li farcisce di un ritmo dai tratti cinematografici, che fanno di “Vuoti di memoria” un’opera attualissima anche nella sua messa in scena: non c’è una trama, il lavoro procede per quadri, luci stroboscopiche, musica martellante – ops, i Ramstein -, e il senso di disagio nello spettatore è servito. Solo uno sguardo esterno, quello di chi guarda appunto, riesce a comprendere le sottili distanze tra le parti e non importa se sono tutte donne, quelle in scena, è l’umanità – o disumanità – intera a essere rappresentata.
Allo spettatore rimane solo quel senso di impotenza, ma allo stesso tempo di rifiuto. Ottimo Max, ottimo.