Teatro
Totò, nonno Vittorio e Adele L’intervista a Vera Dragone
La nipote del grande regista De Seta sarà in scena venerdì al Teatro Comunale con “L’ombra di Totò” e ricorda i suoi primi passi nel teatro a Catanzaro grazie ad Adele Fulciniti
Venerdì sera andrà in scena al Teatro Comunale di Catanzaro e sabato sarà all’auditorium Casa della Pace Frammartino di Caulone, con due tappe della tournée dello spettacolo “All’ombra di Totò”, diretto da Stefano Reali, al fianco di Yari Gugliucci e Annalisa Favetti, ma per lei è un ritorno nella sua città e non sarà proprio una data come tutte le altre. È Vera Dragone, catanzarese di nascita, ma romana di adozione, essendosi trasferita nella Capitale una volta entrata all’Accademia Silvio d’Amico. Vera è comunque rimasta molto legata alla città e ai suoi luoghi d’infanzia che la legano ancora di più alla figura di suo nonno, Vera è infatti la nipote – figlia della figlia – del grande regista Vittorio De Seta. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con lei in vista dello spettacolo di venerdì, inserito nella programmazione di Ama Calabria al Comunale.
Che ruolo avrà Vera Dragone nell’Ombra di Totò?
«Ho un doppio personaggio, interpreto i due grandi amori di Totò, due donne realmente esistite. La prima è Liliana Castagnola, il suo amore di gioventù, alla fine degli anni Venti, durato tra alti e bassi un paio di anni, e conclusosi tragicamente con il suicidio di lei. Totò decise di lasciarla e lei non accettò questa decisione e decise di porre fine alla sua vita. La seconda è Diana Bandini Rogliani che è stata sua moglie, da cui Totò ha avuto sua figlia Liliana. E’ una donna che ha conosciuto quando lei era giovanissima, neanche maggiorenne, lui era più grande di lei di trent’anni. La loro è stata una storia pazzesca, poi hanno continuato a stare insieme per il bene della figlia anche se avevano deciso di lasciarsi, pare sia proprio lei la donna per la quale lui scrisse Malafemmena».
Può riassumerci la particolarità di questo spettacolo?
«Diciamo che è particolare il punto di vista, perché praticamente racconta la vita di Totò attraverso la sua ombra che era Dino Valdi, quest’attore che oggi definiremmo la sua controfigura negli ultimi trent’anni della sua carriera. Totò aveva molti acciacchi di salute, non ci vedeva quasi più: lui lo ha sostituito in moltissimi film, anche molto famosi. Uno su tutti “Uccellacci uccellini” di Pasolini, dove per buona parte l’attore era Dino Valdi. Diciamo che attraverso questa sua ombra e una sua intervista immaginaria, vengono alla luce tutte le storie, tutti gli aneddoti sui set, su come si comportava Totò in teatro e le tante persone che anche avevano collaborato con lui, i suoi amori, ma anche gli attori con cui aveva lavorato».
Cosa emerge di Totò, che il grande pubblico non si aspetta?
«Viene fuori il suo lato caratteriale burbero che è in disaccordo con il lato comico che tutti conosciamo».
Che è una cosa abbastanza comune, tra gli attori comici o sbaglio?
«Sì, è assolutamente vero. Forse, per Totò, è perché questa particolare forma di cinismo, derivava da tante difficoltà sofferte nella vita. Suo padre non lo aveva riconosciuto, era il classico figlio di “nn”. Diciamo che c’è tutta una serie di aspetti nella sua vita che potrebbero aver contribuito a formare questo carattere molto burbero, ma aveva anche dei lati inaspettati: ad esempio Totò era una persona molto generosa, e questo aspetto emerge nel corso dello spettacolo. Lui regalava soldi alle persone più disagiate nei quartieri di Napoli. Oppure che so, aveva un amore smisurato per i cani e ne aveva adottati quasi 200, faceva dei regali anche ai suoi collaboratori, una volta ha regalato un orologio d’oro a un suo truccatore, ne emerge una persona con degli aspetti molto contrastanti fra loro».
Com’è lavorare con Stefano Reali e Yari Gugliucci?
«Bellissimo – ride -. Yari è fantastico, non percepisci l’attore, vivi proprio il personaggio, è un professionista incredibile, come anche Annalisa. Stefano è un regista fantastico, viene dal mondo del cinema e della televisione, quindi restituisce anche in questo spettacolo che è teatrale quella dimensione cinematografica. Poi la cosa bellissima è che lui ha composto anche le musiche. Stefano Reali è un pianista, un grande jazzista, è super bravo. E quindi ha anche questo modo musicale di guardare allo spettacolo, si capisce che c’è proprio una partitura, in questo senso».
Parliamo della tua carriera. Hai lavorato con Ronconi, Reali, hai fatto anche fiction tv. Insomma, non ti stai facendo mancare nulla. In quale situazione e con chi pensi di aver dato il meglio?
«Diciamo che mi sento molto eclettica, non sono mai riuscita a scegliere: canto, recito, faccio musical, cinema, poi spazio con la radio. Non lo so cosa mi riesce meglio, mi piace fare tutto e non riesco a decidere. Però è anche bella questa cosa alla fine, secondo me: non è neanche giusto per un artista limitarsi. Sicuramente, rispetto a ciò che ho fatto, ho un bellissimo ricordo di due persone che adesso non ci sono più alle quali devo un po’ tutto: una è stata Anna Marchesini, mia insegnante in Accademia; l’altra è stata Cristina Pezzoli, grande regista teatrale purtroppo scomparsa prematuramente anche lei. Sono sicuramente loro due le mie figure di riferimento, a livello artistico».
Come riesci a conciliare tutte queste cose che fai, anche molto diverse tra loro, con la maternità?
«Ho un bambino di sei anni, Vittorio, che fa la prima elementare. E’ dura, è tostissima, anche perché oltre alla mia carriera di attrice lavoro nell’Ellington club, il Jazz club che ho aperto in zona Pigneto a Roma con il mio compagno, dove facciamo concerti e spettacoli di cui io curo la direzione artistica. Già il mio lavoro come orari si concilia male con la maternità, perché il bambino si sveglia alle 7.30 e devo portarlo a scuola. Diciamo che di base dormo poco. Per il resto baby sitter e quando posso lo porto con me, adesso di meno perché Vittorio va a scuola e non posso fare come lo scorso anno, quando l’ho portato insieme a me in tournée. Purtroppo è un lavoro fatto di grandissimi sacrifici».
Da Vittorio a Vittorio. Non possiamo non parlare del suo grande nonno, Vittorio De Seta. Cosa crede che penserebbe sapendola su un palco della sua città?
«Sarebbe in prima fila ad applaudire, ne sono certa. Sarebbe super felice di questa cosa. Tra l’altro lui non mi ha mai forzato a fare l’attrice, zero proprio: questa strada l’ho trovata un po’ da sola anche se attraverso di lui. La prima persona che mi ha detto proprio questo, “tu devi fare l’attrice”, cosa a cui io non avevo proprio pensato, è stata Adele Fulciniti, che poi è stata la mia prima insegnante di dizione e recitazione. La conobbi alla festa degli 80 anni di mio nonno: a un certo punto vidi questa signora arrivare da lontano con questi capelli biondi e un cappello enorme, la vidi puntarmi da lontano, venire verso di me a passo spedito per dirmi: “Tu somigli a Olivia Hussey del film Romeo e Giulietta di Zeffirelli, tu devi fare l’attrice, vieni con me”. E fu così che il mio primo debutto è stato al teatro Masciari con Adele Fulciniti, con uno spettacolo tributo a Franco Zeffirelli, su brani di Shakespeare. Ho quindi cominciato ad andare a teatro con lei. Andavamo al Politeama a vedere tutti gli spettacoli, e sì, mi ha proprio iniziato a questo lavoro».
Quanto sei legata alla tua terra, pensi mai di tornare?
«Non si può mai dire. Ovviamente sono molto legata, torno ogni anno d’estate e a Natale. Scendo in Calabria appena posso. Tra l’altro vivo in campagna quindi c’è una dimensione completamente naturale, totalmente diversa da Roma, dalla città, dai ritmi di vita tra le persone, che sono diversi. Qui facciamo delle vite troppo frenetiche, sempre basate sul dover dimostrare, sul dover bluffare, sulla competizione e invece giù mi sembra che si viva in generale in modo un po’ più rilassato, certo, magari mancano ancora delle opportunità, però piano piano la Calabria sta spingendo in questo senso. Già a livello di cinema, di teatro e di arte in generale, vedo bei talenti, belle cose che si stanno smuovendo. Ne riparleremo tra qualche anno. Secondo me la Calabria rischia di diventare un punto di riferimento».
Bel rischio.
«E sì. Speriamo. Così me ne scendo giù in campagna».