Teatro
Tanti gli applausi per Mine Vaganti di Ozpetek al Politeama, ma…
Dopo essersi abituati alla “magra” degli ultimi tempi, andare a teatro e ritrovarsi in scena ben undici attori, è quasi un colpo. Del resto “Mine vaganti” di Ferzan Ozpetek, nella sua versione teatrale non poteva non tenere conto dei numerosi personaggi presenti nelle opere del regista turco.
Così per lo spettacolo prodotto da Nuovo Teatro e Fondazione Teatro della Toscana sul palco si sono ritrovati l’intera famiglia, meridionale, di Tommaso – il protagonista -, comprensiva anche di zia, nonna e domestica (una sempre azzeccata Mimma Lovoi che ha dato prova anche delle sue capacità di cantante), oltre ai suoi tre amici romani – nell’occasione anche le pettegole del paese -, e la mitica Alba.
“Mine vaganti” ha ripercorso per sommi capi la trama e finanche le battute del suo precedente cinematografico, cambiando però il finale – sebbene si paventi sempre l’accettazione dei figli da parte del padre -, e spostando l’azione dalla Puglia alla Campania, quindi sempre al Sud.
Un messaggio che suona un po’come se a Rovigo – giusto per citare una provincia del Nord, non ce ne vogliano i veneti – una storia sopra le righe come quella raccontata, non funzionasse abbastanza. In realtà, a dispetto della raffinatezza e della delicatezza nel trattare argomenti come le questioni legate alla omosessualità, cui Ozpetek ci ha abituati, sia film che spettacolo teatrale sono pieni zeppi chiaramente in senso ironico di luoghi comuni, e poco cambia se ci se ne mette uno in più.
Dal punto di vista della messa in scena, qui il regista ha voluto coinvolgere in maniera mirata il pubblico, mandando spesso gli attori fra le poltrone, parlando direttamente agli spettatori come se fossero parte dello stesso spettacolo, la comunità pettegola in cui vive la famiglia di Tommaso. Con palese divertimento da parte del parterre, l’ovazione finale e i lunghissimi applausi ne sono stati la conferma. Ma tant’è.
L’operazione “Mine vaganti” ha voluto giocare facile e i teatri pieni ne confermano la scelta: insieme a una trama che già in sala, poi ancora sul piccolo schermo, aveva saputo centrare i gusti del grande pubblico, si è puntato su di un terzetto di nomi dal richiamo sicuro, oltre che dalla resa certa: prima di tutto Francesco Pannofino che sembra diventare sempre più René Ferretti – il personaggio che interpreta nella serie “Boris” -, poi l’esuberante Iaia Forte, i genitori del protagonista, e Simona Marchini, la nonna, tutti decisamente una spanna al di sopra del resto del cast, che si è mosso nella sua ombra. Insieme a loro sul palco vanno ricordati Erik Tonelli – al suo debutto nel ruolo di Tommaso, da perdonare ogni sbavatura -, e Carmine Recano nei panni di suo fratello Antonio.
Qualche perplessità anche per la scenografia: di Luigi Ferrigno, con luci di Pasquale Mari, era piuttosto essenziale. Completamente concentrata su alcuni sipari bianchi che creavano e smontavano gli ambienti, ha potuto godere di pochissimi elementi scenici, forse non abbastanza evocativi dei luoghi da rappresentare: peccato perché alcune scene anche per scelte registiche, come l’abbuffata di dolci della nonna, hanno perso proprio tutta la loro drammatica bellezza. Piacevoli i costumi – con un occhio che strizzava agli anni 50 -, di Alessandro Lai.