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Le donne, il teatro e la gioia Intervista a Teresa Timpano

ph Antonio Sollazzo, Parco dei Tauriani di Palmi (Rc)

Teatro

Le donne, il teatro e la gioia Intervista a Teresa Timpano

La vedremo nella parte della nutrice, domani sera al Teatro Comunale di Catanzaro per “Elegia per una principessa barbara. A proposito di Medea”, inserito nella programmazione di Ama Calabria, e Teresa Timpano, una delle anime di Scena Nuda, la compagnia teatrale reggina che produce lo spettacolo, ha scambiato qualche chiacchiera con noi, per capire cosa ci aspetta e come sta il teatro calabrese di questi tempi.

Partiamo dallo spettacolo “A proposito di Medea”, com’è nato?

«L’estate scorsa abbiamo ingaggiato i registi Marco Grosso ed Elena Bucci per questa regia, oltre all’attrice Francesca Ciocchetti, che sarà tra l’altro quest’anno a Siracusa in Medea. A loro si sono aggiunti gli altri attori, Alfonso Paola, Filippo Gessi, Miryam Chilà e Francesca Pica oltre a Caterina Verduci e Alessandro Calcaramo per la parte musicale. Tutti insieme abbiamo lavorato a Portigliola nella residenza artistica dove è nato un percorso insieme a Elisabetta Pozzi, due anni fa, e dove appunto ci interessava continuare a lavorare. Abbiamo debuttato lì a Portigliola ed è stato bellissimo, nel sito romano, una magnifica scena naturale. Lo spettacolo dopo diverse tappe adesso si appresta a un ulteriore sviluppo: quello che vedrete è in forma di concerto, ma passerà alla prosa tra un mese  e mezzo circa, e manterrà le due possibilità che sono forme diverse in base alle piazze e in base alle necessità».

Cosa può dirci del testo?

«Bucci e Sgrosso hanno fatto la rielaborazione del testo e hanno inserito Grillparzer in misura minore rispetto a Seneca, Euripide e Alvaro, che è il grosso. E poi c’è un gancio con l’età contemporanea con la figura di Medea e di come le caratteristiche di questo personaggio femminile siano ancora molto attuali. Posso raccontarlo con le parole di Sgrosso, che sono anche le mie: “Desideriamo raccontare delle ombre che attraversano la nostra mente, delle amnesie che ci tartassano e di uno stato ovattato della vita da cui non riusciamo ad uscire e sembra abbia preso il sopravvento e ci spinga ad agire diversamente dal solito con meno lividi, maggiore ferinità e continui cambi di stato emotivo. A questo proposito abbiamo creduto che fosse necessario affrontare una prima indagine attorno a Medea, perché ci spinge a raccontare come si stanno trasformando i legami tra gli esseri umani dopo una lunga sofferenza, ciò che le persone hanno subìto negli ultimi anni ha avuto un impatto drammatico sulle loro vite con conseguenti stati di ansia elevati e decisioni drastiche. Dietro il grande gesto di Medea probabilmente c’è proprio la trasformazione, il legame che la vede protagonista di una scelta che cambierà le sorti di tutta la sua esistenza e di quella di chi le sta vicino. Che sentimenti scatena nell’essere umano il dolore? Quanta violenza possiamo accendere se feriti, umiliati, costretti. Non ci sono soluzioni ma ricerche in merito al punto di partenza dell’alterazione di un sentimento che può diventare un’arma da fuoco”».

È molto forte.

«Vero? I soppressi che diventano violenti, è tutto un lavoro che riguarda la riflessione contemporanea sulla nuova pedagogia, sulla nuova educazione. Andiamo verso una diversa cura dell’essere umano che tenta di portarlo a essere più sereno, meno arrabbiato per tutta la vita, meno umiliato».

Dopo Penelope, lo scorso anno, Scena Nuda, pur rimanendo nel mito, affronta ancora un personaggio femminile. E’ voluto?

«Sicuramente sì. Anche la prossima sarà anche una donna.  Stiamo iniziando a lavorare su un testo dell’Empireo, con Elena Senigallia, ed è tutto al femminile, proprio sulla violenza di genere. A me interessa tanto questo cammino con cui andiamo a esplorare le cause, senza dare risposte, ma provando a fare emergere riflessioni. Sicuramente è in parte perché Scena Nuda è al 90% femminile, cerchiamo sempre di collaborare con donne, in qualunque ambito. Fotografe, ufficio stampa, ad esempio, sono tutte donne. La parte maschile è in percentuale minore, ma non è che ci sia una cosa al contrario, ossia il non volere lavorare con gli uomini, sicuramente c’è una preferenza femminile forte».

Cosa significa fare teatro a questo livello in Calabria, per una donna?

«La difficoltà di fare teatro è enorme, ma non direi in Calabria, direi in Italia. La Calabria ha dei problemi oggettivi che conosciamo tutti e che è inutile ripetere, sebbene siano tanti. Il problema ora è italiano: è evidente dal punto di vista economico, cioè l’Italia non ha ancora creato un sistema tale per cui le imprese teatrali possano lavorare in modo efficace, c’è tutta una struttura burocratico-economica che va smantellata. Ma in realtà, siccome non lo vedremo noi e nemmeno i nostri nipoti questo cambiamento, sebbene sia in atto ormai da decenni, dobbiamo lavorare con quello che abbiamo, con le nostre forze».

Come si fa?

«Sicuramente aumentando le competenze. Io e la mia socia, Roberta Smeriglio, che è manager di Scena Nuda, abbiamo fatto proprio un passaggio di stato, abbiamo usato la pandemia per prendere una doppia laurea, fare master, questo perché aumentare le competenze e diversificare i dati economici, sicuramente ha aiutato, perché non si può restare al solo teatro puro. Bisogna operare su vari ambiti, sempre culturali, essere più impresa culturale che solo teatrale, mantenere una percentuale alta sul teatro e poi diversificare. Sull’essere donna percepisco che ormai se ti fai valere perché rappresenti una forza positiva, una forza di volontà importante, nonostante poi le cose negative intorno ci siano e non fa niente, credo che un minimo ti venga sempre riconosciuto e questo si vede. Poi, purtroppo, in questo la Calabria ha un problema: non essendoci strutture non essendoci affatto sistema, allora le singole individualità riescono ad emergere. Mentre invece se ti sposti in una città dal punto di vista culturale più importante, cambia completamente l’attenzione. Magari un 45enne che ha due master, una laurea e 18 anni di esperienza, emerge un po’ di più da vari punti di vista».

Parla di Teresa Timpano?

«Io mi sento riconosciuta qui, in realtà, non sono un nemo propheta in patria, non lo sono affatto. C’è da fare sempre di più e lo faremo. Ma non mi sento discriminata. È vero che ho fatto anche delle scelte che mi hanno portata a stare meglio, ho scelto una persona accanto a me, mio marito, che è molto emancipata, quindi non ci sono differenze. Bisogna anche essere molto pratici e fare dei ragionamenti, quando si va avanti nella vita».

Da quando ha iniziato, è cambiato qualcosa nella situazione teatrale calabrese?

«Il miglioramento è nella relazione tra gli operatori, questo sicuramente è cambiato. C’è più coesione, ci sono più scambi. Purtroppo dal punto di vista gestionale no, non c’è nessun cambiamento, mi spiace. Ogni tot c’è un respiro, ogni nuova gestione ti dà delle speranze, io me lo auguro sempre, ma poi bisogna sempre essere realisti: è per questo che sto facendo strategia in modo da percorrere vie diversificate, non si può essere dipendenti da un ente e quindi questo permette di vivere meglio. Poi, è un ente che comunque ci ha permesso di fare un grande salto, quello sicuro: se non ci fosse stata la Regione, non avremmo potuto arrivare al Ministero, il merito c’è e grazie agli operatori che hanno lottato per vent’anni, per arrivare a ottenere questa legge, a farla rifinanziare tutte le volte. E’ logico che di strada ne è stata fatta. Però dal punto di vista gestionale la situazione non è buona, porta le imprese ad avere problemi molto gravi a rendere pericoloso il percorso e quindi bisogna essere molto competenti e reagire bene a quello che c’è».

È una situazione non solo calabrese, diceva.

«Sì. Tranne i colleghi emiliani, e quelli lombardi un po’, gli altri sono tutti in condizioni difficilissime. È il settore, il problema. È il pensiero dietro che non ha ancora preso la strada giusta: credo che ci sia proprio un problema a monte, che poi è amplificato nelle regioni dove ci sono più problemi, è logico. L’arte e la cultura, se non hai scopi puramente materiali, e li guardi anche dal loro punto di vista profondo, ti aiutano ad affrontare meglio tutto, con una certa gioia. Credo molto in questo: la gioia porta gioia anche nelle grandi difficoltà. Noi poi siamo lo stesso team da tempo, è un gruppo che si è incontrato dodici anni fa e ha fatto un percorso insieme. Sembra una cosa scontata, ma il volersi bene e la fiducia reciproca aiutano molto le comunità artistiche, anche quando non sono famigliari, ovviamente».

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