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L’animale, quando il teatro è intorno allo spettatore

l'animale
ph Angelo Maggio

Teatro

L’animale, quando il teatro è intorno allo spettatore

SOVERATO (Cz) – Mantiene sempre la stessa tonalità, il personaggio unico de “L’animale”. La sua voce è identica mentre racconta di atrocità, così come episodi della quotidianità, anche con una certa ironia.

È disarmante nelle sue parole appena sussurrate, la voce di Emanuela Bianchi, la vera protagonista dello spettacolo sopraccitato che l’attrice, regista e autrice ha portato in scena al Microteatro di Soverato a cura di Confine Incerto, nell’ambito della rassegna Innesti contemporanei del Nastro di Moebius.

Ma non è per via dello spazio, ridotto, che gli spettatori prenotati per ogni singola recita non possono essere più di dieci. È una scelta dettata dalla particolarità della messa in scena, un esperimento lo ha definito Bianchi, in cui il racconto – molto bello, su un testo originale di Roberto Alessandrini -, è reso ancora più intrigante dal ruolo giocato dall’elemento sorpresa.

Lo spettatore non sa cosa lo aspetterà, né saremo noi a dirlo – “L’animale” andrà ancora in scena nelle giornate di venerdì e sabato prossimi con doppia recita, domenica solo alle ore 19.00 -, ma quel che è certo, è che sarà totalmente immerso nell’atmosfera che circonda la vita della protagonista.

L’operazione di Alessandrini e Bianchi è molto semplice, in realtà. Qui non si tratta dell’abbattimento della quarta parete, ma di una storia che è tutta intorno allo spettatore: il pubblico è talmente dentro il racconto che non si rende conto – magie del teatro -, di quanto tempo sia effettivamente trascorso dall’inizio dello spettacolo. Ma non solo questo: Bianchi sa bene quanto possa la potenza evocativa di suoni e odori, e si gioca tutte le carte– no, forse non tutte,  almeno quelle consentite nel contesto del Microteatro -, per stimolare i ricordi, prima di tutto dello spettatore. Che in questo modo è chiamato in prima persona a metterci del suo.

L’animale al Microteatro

Siamo nelle campagne di una qualsiasi provincia italiana – ma forse non necessariamente italiana -, il tempo è indicato dai costumi, saranno gli anni ’50: una donna, moglie e madre, si prepara alla giornata che la aspetta, e racconta e spiega il suo ruolo, nell’attendere che il marito, andato via per caccia per qualche giorno, rientri con l’animale da macellare.

Un cervo, molto probabilmente un cinghiale: è alle mogli che spetta il compito di sventrarlo, conservarlo e cucinarlo, utilizzandone alcuni scarti, perché no, anche come vendetta. Ecco che l’animale del titolo può essere forse la stessa donna, preda del sedicente maschio, ma forse nell’accezione di “bestia” è lo stesso uomo. Non è dato saperlo, perché la trama prende improvvisamente un’altra piega, forse distante da ciò fin qui narrato. Forse no.

La routine, fatta di bucato e caffè, viene interrotta dall’arrivo dell’ospite, un personaggio misterioso di cui non sapremo in realtà mai nulla, ma che con un altro racconto di un racconto – delizioso il meccanismo di scatole cinesi -, sconvolge la vita della nostra protagonista, con un finale luminoso a suo modo, di sicuro carico di speranza.

A fine spettacolo, tutti i presenti hanno la possibilità di dire la loro, fuori dal Microteatro: un momento utile ai fini dell’esperimento – per capire cosa cambiare o su cosa invece insistere -, ma anche per lo spettatore che riflette su un’esperienza insolita, per alcuni unica, ma condivisa finanche con l’interprete, non solo con chi, per definizione, dovrebbe solo “assistere”.

Carmen Loiacono

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