Teatro
Catanzaro, al Teatro Comunale la Penelope di Teresa Timpano
di Carmen Loiacono
La Penelope di Teresa Timpano al Teatro Comunale di Catanzaro. La conosciamo come la paziente moglie che aspetta il ritorno del marito, tessendo una tela che non finisce mai, ma Penelope, tormentata dall’assenza del consorte, da tutti i pensieri che in merito la corrodono e dal continuo doversi difendere in un mondo che la vorrebbe preda, è prima di tutto una donna. È in questo aspetto, complicato, genitore di cento mille altri che si addentra lo spettacolo “Penelope” con Teresa Timpano, andato in scena ieri sera al Teatro Comunale, appuntamento della stagione Ama Calabria. Scritto e diretto da Matteo Tarasco per Scena Nuda, lo spettacolo – un monologo di poco meno di un’ora- attinge a piene mani dalla figura originale raccontata da Omero, ma la rende più contemporanea, inserendone oltre che ispirazioni dai racconti di Ovidio, anche tracce della versione dell’acclamata Margaret Atwood. Sì, perché alle donne e agli uomini di oggi, la fedeltà e la coerenza di Penelope, possono sembrare improponibili e vanno spiegate per essere capite. Ecco allora la Timpano, sola in scena, avvolta, imbrigliata in un abito talmente grande che pure lasciandole libere le braccia le impedisce i più semplici spostamenti, molto bello. Il palco, mentre lei si sofferma sui tanti aspetti della sua storia poco affrontati, si impone per la sua semplicità claustrofobica: è immerso nel bianco ma coperto da una fitta rete, che sa proprio di gabbia (costumi e scene sono di Laura Laganà e Francesco Gambino) e che si evidenzia come sfondo ideale per i continui giochi delle luci, monocromatici, ma molto intensi, che segnano ogni passaggio.
La rete è l’emblema del “dover tenere alta la testa”, nel proseguire il proprio obiettivo, “l’opera d’amore” come lo definisce lei, che le comporta mille sofferenze, nel suo delirio di donna innamorata.
Tra ricordi (o forse frutti della sua immaginazione?), rabbia per il tradimento, disgusto nei confronti dei pretendenti, la Penelope di Teresa Timpano continua ad aspettare Ulisse. Da contraltare ai movimenti, lenti, e alla gestualità generale piuttosto solenne, però è parsa mancare una ricerca vocale più incisiva, con cambi di registro più netti che avrebbero di sicuro coronato un lavoro comunque interessante, arricchito da musiche originali davvero sorprendenti, di Mario Incudine, che hanno saputo trascinare i presenti fra le onde di quel Mediterraneo che suo malgrado fa da sfondo.